Polito, l'integralista liberale, ed il populismo

Buongiorno,

lunedì ho letto sul Corriere della Sera questo articolo a firma Antonio Polito riguardante la diffusione a livello planetario dei populismi, articolo che ho trovato molto interessante perchè rivela un atteggiamento mentale dell'estensore che è molto lontano dalla realtà e tutto tranne che liberale.

Polito non si pone infatti il problema di capire se siano reali e diffuse le condizioni di disagio sociale che sono probabilmente almeno in parte alla radice dell'attuale successo dei politici di stampo populista, ma decide, pur rimproverando alle elites liberali una sostanziale inerzia e e negazione rispetto a questa situazione, di minimizzare. Il che non è poi molto diverso dall'atteggiamneto che rimprovera alle elite liberali occidentali, che descrive tra la negazione del problema e la fede nell'ineluttabilità del successo del modello liberale e liberista.

Il disagio ed il regresso sociale,  per Polito non sono un dato che affligge ormai ben più di una generazione cui è ormai evidentemente preclusa qualsiasi prospettiva anche solo di mantenere l'attuale status economico e di welfare, non è un problema di una classe sociale come la piccola borghesia sempre più ridimensionata ed immiserita, non è il crollo delle garanzie e delle opportunità che colpisce sempre più ampiamente chi non appartenga alle sempre più ristrette elite economiche, ma qualcosa che afferisce sostanzialmente "al giovane disoccupato povero francese" o "alla famiglia che cerca una casa popolare a Torino", malgrado ormai le statistiche sulle condizioni economiche (e non sui sentimenti che le persone hanno a riguardo, che Polito cita ma che sono ben meno significative ed oggettive) dicano ben altro.

Rispondere ai singoli, quando la vastità del problema ha dimensioni generazionali e di classe, non permetterà alle politiche liberali (e liberiste, questo è un sottinteso evidente dell'artcolo di Polito) di salvarci dai peggiori populismi.

Ma questa miopia rappresenta solo la parte più piccola del problema, la cui parte preponderante sta in quel modello liberista sempre sottinteso.

Perchè Polito, come tutte le elite liberali, per sostenere le teorie liberiste, ci racconta che la rivoluzione industriale creò maggior ricchezza, lavoro e benessere per tutti e che pertanto non dobbiamo fare come i luddisti che avrebbero voluto mantenere in una più misera realtà pre industriale (1), ma non non dice o non si rende conto che le condizioni al contorno (tecnologiche, economiche e sociopolitiche) sono cambiate talmente tanto anche solo dalla rivoluzione digitale (per non parlare di quella industriale) da non permetterci alcun confronto tra quelle situazioni e quella attuale e da non giustificare alcuna speranza che quel meccanismo di redistribuzione di reddito e benessere possa verificarsi ancora.

La prima domanda da porsi per i liberali è proprio se quel modello politico ed economico (che aveva generato una borghesia ormai declinate sia in termini economici che numerici) funzioni ancora. E da lì ripartire.

Ciao

Paolo

(1) questa è una delle più solari idiozie supportate unicamente dalla reiterata ripetizione. Se proponessi una riforma scolastica basata su grembiulini bianchi e blu, separazione tra maschi e femmine, poesie a memoria e maestre dalla penna rossa perchè un secolo fa funzionava così, voi mi considerereste, giustamente, un allegro coglione. E mi mettereste nella stessa categoria se proponessi di affrontare l'Isis sul campo con cariche di cavalleria perchè ai tempi di Napoleone. Ma se si tratta di economia la rivoluzione industriale rimane una pietra miliare indiscutibile...

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