La libertà di circolazione delle umane cose

Buongiorno,

il post di oggi è, se volete, filosofico ed un po' apocalittico, nel senso che, molto più di altri, rispecchia un mio dubbio sulla (in)sostenibilità del nostro modo di vivere che il progressivo aggravarsi delle crisi umanitarie legate alle migrazioni dal sud del mondo mi pare evidenziare.

Da decenni (se non da secoli) noi occidentali vivamo nella convinzione che la libera circolazione di idee, merci, capitali realizzino in qualche misura benessere e ricchezza: da questa convinzione sono derivati (ed altri ancora arriveranno) tutta una serie di trattati, accordi, convenzioni volte ad agevolare la loro libera circolazione tra gli Stati.

E' unanimemente condiviso il fatto che le idee debbano circolare ed essere espresse liberamente: adoriamo Internet (magari temendone alcuni aspetti) che realizza la possibilità di rendere pubblicamente disponibili idee e contenuti in tutto il mondo (1) e ci sbalordisce il fatto che esistano realtà (che peraltro riguardano la maggioranza della popolazione mondiale, a partire dalla Cina) dove il libero accesso ad idee e contenuti è limitato. Al più ci infastidisce che qualche barbuto jihadista condivida il nostro entusiasmo per l'universalità dello strumento e lo utilizzi per diffondere idee un tantinello diverse dalle nostre (orrore orrore), farci propaganda e reclutarci adepti, magari tra i nostri vicini di casa...

E' quasi altrettanto unanimemente condiviso il fatto che i capitali debbono essere liberi di spostarsi dove trovino migliori possibilità di essere efficacemente sfruttati: nessuno si è meravigliato ed in pochissimi si sono lamentati del fatto che alcuni anni fa Fiat, in assenza di agevolazioni statali italiane, abbia chiuso Termini Imerese e contemporaneamente aperto nuovi stabilimenti in Serbia dove i contributi statali serbi invece erano generosi. Era evidentemente una libera ed indiscutibile facoltà dell'investitore farlo. E se qualche finanziere nella sua indefessa attività di collocare i propri capitali qua e là per il mondo in cerca di allocazione ottima li fa trasitare per qualche sequela di esotiche isolette off shore, che c'è di male, direte voi?

Giungiamo al lapalissiano quando si parla di libertà di movimento per le merci. E' chiaro che ogni merce assume il suo massimo valore dove è massima la sua utilità: un barile di petrolio accanto al pozzo da cui è stato estratto è grosso modo un bidone di immondizia tossica, trasportato alla pompa di benzina diventa uno dei motori dello sviluppo occidentale degli ultimi decenni. E' davanti a questa considerazione che si chiede a chiunque di accettare con serena felicità trattati come il TTIP, anche a fronte della totale ignoranza dei loro contenuti e linee di sviluppo.

Il meccanismo però si inceppa nel momento in cui consideriamo la più umana delle cose, e cioè gli uomini stessi. Perchè, al di là di enunciazioni di principio, poco si fa per garantire agli uomini stessi la libertà di circolazione: esistono aree in cui è garantita, talvolta solo a parte di essi, magari in regime che prevede possibilità di sospensione (come il trattato di Schengen) e/o respingimento.

E così, dopo che abbiamo permesso ai loro capitali di andare altrove, alle loro materie prime di essere lavorate altrove, alle merci da noi prodotte di invadere i loro mercati, alla rappresentazione del nostro benessere di diffondersi grazie ad ogni singolo media sin nelle loro misere case, quando loro giungono sulle nostre coste alla ricerca di quel benessere che la libera circolazione dovrebbe garantire permettendo di avere migliori opportunità, chiudiamo loro le nostre porte in faccia, a Lampedusa come a Tarvisio, a Ceuta come al Pireo, a Melilla come a Ventimiglia, a Calais come a Gibilterra...

Sarò cattivo, ma è una situazione che, in grande, mi fa tornare in mente una frase di Max Frisch che fotografò l'ingiustizia dell'arricchimento di uno Stato (in quel caso la Svizzera) ottenuto utilizzando spesso lo sfruttamento dei cittadini di uno Stato diverso considerati di serie B (o anche meno: nella fattispecie proprio noi italiani), arricchimento di cui non si voleva pagare il conto nemmeno minimamente.

Allora Frisch diceva degli Svizzeri che cercavano braccia, arrivarono uomini.

Oggi noi occidentali (specialmente quelli più ricchi di noi) non ci accontentiamo più di volere le sole braccia.

Vogliamo di più, molto di più. Vogliamo risorse, capitali, mercati, idee e know how. Vogliamo TUTTO.

Ma continuiamo a pretendere di non accettare tra noi anche gli uomini che li detengono.

Ed ho il ragionevole dubbio che questa situazione non generi benessere se non per chi già ne gode e non sia sostenibile nemmeno nel medio periodo, perchè nei fatti sembra privilegiare chi più ha ai danni di chi più ha bisogno.

Ciao

Paolo

(1) anche se poi magari ci limtiamo ad utilizzarlo per aggiornare il profilo Facebook o a Twittare fesserie.

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