Deflazione e mercato del lavoro

Buongiorno,

oggi post piuttosto lungo e noioso nel filone delle rozzezze di economia.

La crisi economica tuttora in corso in Italia ci ha portato a conoscere alcuni aspetti di macroeconomia di base con i quali non avevamo particolare confidenza e tra questi ad avere confidenza con il concetto di deflazione e con le sue conseguenze. 

Sono mesi se non anni infatti che è chiaro a chiunque come in presenza di deflazione il progressivo calo del costo dei beni porti a ritardare gli acquisti nella previsione di poter comperare ad un prezzo migliore.

E' un comportamento naturale, scontato ed ovvio da parte di ogni potenziale cliente: se domani ciò che voglio comperare costerà meno e posso procrastinare l'acquisto attendo che si realizzino le condizioni a me più favorevoli.

E' anche chiaro a tutti come la deflazione conseguentemente porti a contrarre gli investimenti più delle spese: la resistenza ad investire è ancora più forte sia perchè si attende di farlo quando costerà meno, ma anche perchè l'utile che si può trarre dall'investimento è destinato a decrescere nel tempo a causa della deflazione stessa, e quindi l'investimento diminuisce la sua redditività o aumenta il rischio.

Non mi mi pare però che sia particolarmente chiaro (perchè mi pare nessuno ne parli ed anzi che si sostenga generalmente ed aprioristicamente il contrario) come questo stesso meccanismo stia continuando da lustri se non decenni ad operare un continuo freno alle assunzioni nell'italico mondo del lavoro, nè come il cosiddetto Jobs Act (che dichiara di voler promuovere un aumento dell'occupazione e nuove assunzioni) molto probabilmente sia stato, sia e sarà un ulteriore tassello nel quadro che disincentiva gli imprenditori ad assumere.

Dai tempi della riforma Treu tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese hanno sistematicamente  promesso e operato al fine di garantire un aumento dell'occupazione attraverso il progressivo abbassamento del costo del lavoro legato alla continua introduzione di tipologie contrattuali diverse e sempre più precarie (sarei noioso e barboso a citarvi i soliti co.co.co., co.co.pro., finte partite Iva, somministrati, finti soci delle cooperative, interinali, finti borsisti, finti stagisti,...). 

I governi italiani degli ultimi vent'anni hanno creato quindi una situazione nella quale il mercato del lavoro è stato interessato da costante deflazione ed hanno posto le condizioni per la prosecuzione di tale condizione nel tempo.

E, come ci siamo detti, cosa significhi deflazione ormai lo sappiamo bene, anche se non ci siamo spinti a dettagliarlo nel caso del mercato del lavoro, cosa che, da economista pane e salame quale sono, mi affretto a fare:
  • significa che ogni imprenditore italiano da anni sa che se non è letteralmente costretto ad assumere nell'immediato gli conviene procrastinare ogni singola assunzione il più possibile visto che il costo del lavoro scende
  • peggio, significa che ogni imprenditore italiano è disincentivato ad investire anche in R&D, dato che può attendersi che la progressiva riduzione del costo del lavoro compenserà almeno in parte nell'immediato la riduzione di competitività legata alla mancata innovazione.
Ecco perchè temo che il Jobs Acts, oltre ad operare sulla leva sbagliata in assenza di una domanda forte (1), abbia finito e finirà per prolungare la situazione deflattiva nel mercato del lavoro e le sue conseguenze. E quindi temo che abbia rappresentato e rappresenterà un ulteriore stimolo a trattenersi dall'assumere e dall'investire in innovazione.

Il tutto dando lapalissianamente per scontato che valgano anche in questo campo le leggi che consideriamo valide in assoluto.

In via del tutto paradossale ho il sospetto che se oggi il governo dichiarasse che ha in cantiere una riforma del lavoro che ne innalzerà il costo per i nuovi assunti a partire dal 1 gennaio 2016 (cioè tra un anno) forse otterremmo effetti migliori sia sul fronte occupazionale che su quello dell'innovazione...

Ciao

Paolo

(1) Anche ammettendo -e non concedendo- che la molto sopravvalutata difficoltà di licenziamento senza giusta causa possa frenare nuove assunzioni in una situazione in cui gli imprenditori abbiano una forte domanda che stimola il reclutamento di nuovo personale, in una situazione in cui la domanda non c'è, rimane solo la maggior facilità atagliare i costi del personale, e quindi a ridurre i dipendenti.

2 commenti:

altrosimone ha detto...

E nel frattempo gli imprenditori di cosa campano entre aspettano il calo dei prezzi salariali? di TFR?

PaoloVE ha detto...

@ altrosimone:

no, non campano di TFR, campano della stessa cosa di cui campavano quando non assumevano perchè l'art. 18 impediva di licenziare senza giusta causa (e sostenevano che l'abolizione dell'art. 18 avrebbe fatto aumentare l'occupazione...).

In fondo è la mancata assunzione a non far campare l'imprenditore, non il suo motivo, o sbaglio?

Scusa la risposta brusca, ma l'assurda conseguenza della tua argomentazione sarebbe che nessuna riforma del mercato del lavoro incide sulle assunzioni, perchè l'imprenditore, per campare, sarebbe costretto ad assumere indipendentemente dalle condizioni in cui lo fa.

Il che, ovviamente, non è.

Ovviamente si sta parlando (io come tutti quelli che hanno sostenuto che le riforme del mercato del lavoro incidono sull'occupazione) di maggiori o minori convenienze, non di vincoli rigidi.

E a dimostrazione che le assunzioni non sono necessariamente soggette ad un vincolo rigido ti segnalo che un imprenditore in molti casi può rinviare una assunzione in modi diversi a seconda della situazione:

1)Può temporeggiare con il ricorso allo straordinario
2)Può dare temporaneamente in outsourcing la funzione / lavorazione scoperta
3)Può accorciare temporaneamente la sua parte di filiera produttiva (partendo da un semilavorato più avanzato o vendendo un prodotto da finire invece del finito)
4)Può noleggiare sistemi che automatizzino la funzione / lavorazione

solo per dirne alcuni.

Ciao

Paolo