FIAT e Marchionne: le nuove promesse

Buongiorno,

la lunga intervista rilasciata dall'AD di Fiat Chrysler a Repubblica sull'onda del successo dell'abile operazione finanziaria che ha portato la finanziaria della famiglia Agnelli ad acquisire il gruppo amercano e fonderlo con la casa torinese merita alcune considerazioni, perchè mi pare che il trionfalismo con cui è stato festeggiato l'acquisto delle azioni Chrysler da Veba stia mascherando molti elementi che possono ingenerare più di una perplessità rispetto al fatto che noi italiani si abbia di che essere entusiasti.

Andando in ordine sparso:
  1. Lo metto per primo, così mi tolgo il pensiero. Le promesse arrivano dallo stesso AD che aveva promesso a sproposito Fabbrica Italia e che solo sei mesi fa ha invece sosteneva che "In Italia le condizioni industriali rimangono impossibili". Quello che aveva parlato di piani industriali ed ha fatto praticamente solo finanza. Quello che avrebbe voluto trattare conun unico interlocutore sindacale, ma adesso vuole tavoli distinti pr FIOM e per gli altri. Insomma, queste dichiarazioni hanno davvero qualche valore o sono  nuove baggianate dette per mera convenienza, come le boutade su operai e capannoni fantasma farebbero temere?
  2. L'acquisizione di Chrysler soprattutto grazie all'operato di Marchinne è terminata con successo ed a buone condizioni, ma ciò non vuol dire che le finanze del gruppo siano siano floride (infatti c'è chi prospetta un downgrade per il gruppo). E questo ha delle conseguenze sulla sostenibilità di qualsiasi politica aziendale futura, perchè il nuovo gruppo rimane pur sempre il risultato della fusione di due gruppi in pesante crisi.
  3. L'ambizione di produrre modelli che garantiscano margini superiori a quelli attuali non significa necessariamente uscire da quello che Marchionne chiama mass market. Non credo che VW ci rimetta vendere le UP o le Polo o le loro cugine Seat e Skoda. E la dichiarata scelta di abbandonare questo settore ha sicuramente la conseguenza di far perdere al gruppo una fetta di contribuzione ai fatturati ed alle spese generali, se non proprio agli utili (basti pensare al terzo mercato più importante del gruppo, il Brasile, dove le vendite sono solo nel mass market). Per di più lo allontana dall'obiettivo di quei sei milioni di pezzi l'anno che Marchionne considerava la dimensione minina di un gruppo automobilistico. E, cosa per l'Italia più importante, riduce il numero degli addetti destinati alla loro produzione.
  4. L'ambizione di collocare il gruppo in una fascia alta di mercato si scontra invece contro altri ostacoli, tra i quali lo scarso appeal del marchio FIAT sia in Europa che in USA (secondo un calembour un po' razzista negli USA FIAT sarebbe l'acronimo di "Fix it again, Tony!", ma pare di capire che FIAT sia un marchio sostanzialmente destinato a scomparire insieme a Lancia) ed i mancati investimenti in R&D degli ultimi anni in entrambe le sponde dell'Atlantico. Per posizionarsi in fascia alta non basterà certo incollare un cavallino sul cofano di una vecchia Punto, come sembrava pensare qualche illuminato anni fa. E, specialmente in quella fascia, non ci si inventa dall'oggi al domani, come dimostra il catastrofico tentativo di rientrare nel settore effettuato anni fa da Lancia con la Thesi.
  5. FIAT, malgrado l'acquisizione, ha davanti a sè sei gruppi che spalmano i costi generali e di ricerca su una produzione più ampia (per gruppi come VW, Toyota e GM parliamo di numeri doppi di quelli del gruppo italoamericano) e, rispetto ad alcuni di questi, deve rincorrere sul piano tecnologico -il che significa investire di più-, per di più spesso partendo da condizioni di accesso al credito peggiori. Insomma, la situazione è leggermente migliorata, ma la concorrenza rimane in posizioni molto avvantaggiate.
  6. Da ultimo, gli interessi di FIAT e dell'Italia non sono mai stati così poco correlati, visto che l'orizzonte aziendale è chiaramente rivolto a riposizionare il gruppo nel continente americano.
Ciao

Paolo

P.S.: non vorrei pensaste che io creda che Marchionne abbia fatto un cattivo lavoro. E' stato anzi molto abile. Ma gli interessi ch difendeva erano quelli della finanziaria della famiglia Agnelli, non quelli dell'Italia. I fessi sono stati quelli che hanno creduto di vedere un Marchionne una ispirazione per tirar fuori il nostro Paese dalle sabbie mobili mentre lui cercava di trasferire valore dal nostro Paese all'estero sia in termini di denaro che di Know how.

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