I ragli iniziali della campagna elettorale

Buongiorno,

l'apertura della crisi politica segna anche l'inizio della campagna elettorale, e la segna, secondo le previsioni più scontate, nel peggiore dei modi.

Dobbiamo sentire Silvio Berlusconi asserire che lo spread è un imbroglio di cui possiamo disinteressarci (ed io personalmente vorrei invece ricordare che, a parità di altre condizioni, un rincaro dello 0,1% sul tasso di interesse ci costa in prospettiva 2 miliardi l'anno in spesa per interessi e che quindi i trenta punti di spread che abbiamo preso ieri valgono in prospettiva una tassa da cento euro all'anno pro capite. Sarò venale, ma io non me ne disinteresso).

Che da SB arrivasse qualche raglio sopra le righe era, come dicevo, più ovvio che scontato.

In maniera un po' meno scontata, dall'altra parte dobbiamo sentire Mario Monti che, accantonato un po' del suo aplomb, afferma che alla promozione della crescita economica avrebbero dovuto pensare gli altri prima di lui, che è stato chiamato a salvare il Paese dal baratro, il che è vero alla Cruciani, cioè solo per la metà che gli fa comodo.

Infatti è evidente (ed ammesso dallo stesso Monti) che quella che il suo governo ha alimentato è una spirale recessiva (aumento delle tasse -> riduzione della competitività -> riduzione del PIL -> aumento dell'incidenza del debito sul PIL) che non salva il Paese se non è interrotta dalla crescita economica, ma procrastina unicamente il naufragio.

Il fatto è che l'opera di Monti non è stata accompagnata da alcuna manovra volta a ridistribuire le risorse in maniera più equa (promuovendo i consumi da parte dei sempre più numerosi poveri), nè a rendere più efficiente la PA tagliando sprechi e privilegi (la spending review ha tagliato indiscriminatamente i servizi), nè a ricalendarizzare le opere pubbliche secondo priorità volte a promuovere lo sviluppo (TAV invece che larga banda), nè a rendere più snella la burocrazia o meno pervasiva la corruzione o l'indebita presenza di lobbies (dalla chiesa alle banche) in centri di potere che ne dovrebbero essere liberi. 

Molte di queste cose potevano essere fatte senza costi particolari dai suoi predecessori ma anche dallo stesso Monti per limitare gli effetti depressivi delle manovre da lui messe in campo, e così non è stato, spesso per scelta tutt'altro che tecnica, ma strettamente ideologica, con il risultato di dare l'illusione ottica di un miglioramento della situazione economica, quando invece al miglioramento di un parametro faceva da contrappeso il peggioramento di un altro.

Il mio timore è che Monti finisca col diventare l'equivalente italiano degli wise guys della scuola economica di Chicago che accompagnarono passo passo l'Argentina verso il baratro economico, garantendo i privilegiati, forti di una ingiustificata fede in una ben determinata teoria economica (rivelatasi fallace come da molti previsto) e, tutto sommato, certi del fatto che il disastro non li avrebbe toccati direttamente in maniera significativa. Il che, purtroppo, ricorda molto la posizione di Monti e dei suoi.

Ciao

Paolo

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